A spasso per il campo

campo profughi di Zaatari Giordania

“Abbiamo freddo. Non abbiamo coperte, le tende di notte sono gelide. Chi ci può aiutare?”

“Venite, venite nella mia tenda, mia figlio è disabile, ha bisogno di una sedia, di una carrozzina. Ora è disteso a terra, non riusciamo nemmeno a portarlo in bagno. Aiutateci”

“Non fotografatemi, non fotografatemi. Ho parenti in Siria, voglio tornare lì. Se mi vedono, mi ammazzano”

“Cosa volete? Che aiuto ci date? Trasmettere il nostro messaggio in Europa? L’Europa sa quello che succede, c’è già troppa informazione, ma finge di non sapere, di non vedere, di non sentire”

“Vi dirò tutto quello che volete, risponderò a tutte le vostre domande. Tutte. Ma non fatemi foto, non chiedetemi il mio nome e quello del mio paese”

“I bambini scappano e si nascondono perchè il rumore della macchina fotografica ricorda loro quello dei soldati che sparavano. Entravano nelle case, puntavano l’arma proprio come puntate ora la macchina fotografica e poi sparavano”

Ci fermano mentre camminiamo nel campo, ci raccontano spontaneamente le loro emozioni del momento, le loro paure, le loro speranze. Incontri, sguardi, pezzi di storie, di vita.

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